Il Caffè poesia di origine controllata
" Il caffè poesia di origine controllata, ideato da Ariele D'Ambrosio, scrittore medico e poeta orale, con la collaborazione di Sergio Menegale, compositore, pubblicitario ed esperto in comunicazione, è un'associazione che celebra l'inizio del nuovo secolo con creativi, poeti, musicisti, attori, cantanti... avvicinando culture diverse e distanti, colte e popolari, come i nostri rapper hip-hop, cantautori e la poesia sperimentale contemporanea, passando attraverso la tradizione orale dei nostri trovatori medioevali come quella dei cantastorie siciliani e dei poeti a braccio toscani in ottava rima. Nasce per l'ascolto di un pubblico giovane e adulto, colto e popolare, per ritrovare l'emozione del rapporto diretto, oltre il silenzo della sola scrittura e della sola lettura, che sia un libro o un computer "
Pino Daniele
Pino Daniele
Alleria  

Passa 'o tiempo e che fa'
tutto cresce e se ne va
passo 'o tiempo e nun vuò bene cchiù.
Voglio 'o sole pe' m'asciuttà
voglio n'ora pe' m'arricurdà
alleria pe nu mumento
te vuò scurdà
che hai bisogno d'alleria
quant'aje sofferto
'o ssape sulo Dio.
E saglie 'a voglia d'alluccà
ca nun c'azzicche niente tu
vulive sulamente da'
l'alleria se ne va...
Passa 'o tiempo e che fa
se la mia voce cambierà
passa 'o tiempo e nun te cride cchiù
e ti resta solo quello che non vuoi
e non ti aspetti niente perché lo sai
che passa 'o tiempo ma tu non cresci mai.

E saglie 'a voglia d'alluccà
Ca nun c'azzicche niente tu
Vulive sulamente da'
L'alleria se ne va...

sono stato sospinto in un mare di gente,
mi sono comportato come un contrabbandiere,
ho sempre amato sempre con la paura
d'esser colto in fragrante,
restituire il maltolto.
vengo sulla tua tomba con il bavero alzato,
occhiali scuri. duro, osso duro,
più duro della pietra che ti copre
e che trema di freddo sul tuo corpo.
vengo a cercarti. è tempo. ecco: ti ascolto
come avresti voluto: un po' impagliato, in piedi.
la pelle ha il tuo sudore di tannino
e anche i denti li perdo
secondo un ordine da te stabilito.
questa volta obbedisco: ho la ginestra,
livide olive nere da masticare coi ricordi,
salgemma di fiumara e pane che, mi pare,
deve ora cadere dalle mani e io dovrei gridare
tre volte sbigottito. ah, chi grida
quì è soltanto il dolore, costernato.
accetta tutto questo come io l'ho accettato.
fummo divisi sempre uniti solo
in lotte all'arma bianca, obbligati
a posizioni d'uomini distanti
come vette distanti faccia a faccia.
io ti chiedo perdono se non ebbi
abbastanza paura da stringerti la mano.
ti perdono se ammetti che ti mancò il coraggio
di stringermi al tuo cuore.
mi sarebbe bastato anche il metallo
delle tue guance frsche di rasoio,
l'odore puntiglioso di ginepro
che coglievo per te nelle forre.
sei sempre stato un totem, come adesso
in questa foto, lo sguardo in divisa
come se il fatto non ti riguardasse.
voglio parlarti: è tempo
che si giunga noi due ai ferri corti: mi hai dato
quello che mi hai sottratto, ti ho sottratto
quello che non mi hai dato, adesso addio
e addio per sempre padre, padre mio

Chico Buarque
Chico Buarque
O que serà Ah che sarà

O que serà que serà
Que andam suspirando pelas alcovas
Que andam sussurrando em versos e trovas
Que andam combinando no breu das tocas
Que anda nas cabeças, anda nas bocas
Que andam acendendo velas nos becos
Que estão falando alto pelos botecos
Que gritam nos mercados, que com certeza
Está na naturaleza, será que será
O que não tem certeza nem nunca terá
O que não tem conserto nem nunca terá
O que não tem tamanho

O que será que será
Que vive nas idéias desses amantes
Que cantam os poetas mais delirantes
Que juram os profetas embriagados
Que está na romaria dos mutilados
Que está na fantasia dos infelizes
Que está no dia-a-dia das meretrizes
No plano dos banditos, dos desvalidos
Em todos os sentidos, será que será
O que não tem decência nem nunca terá
Q que não tem censura nem nunca terá
O que não faz sentido

O que será que será
Que todos os avisos não vão evitar
Porque todos os risos vão desafiar
Porque todos os sinos irão repicar
Porque todos os hinos irão consagrar
E todos os meninos vão desembestar
E todos os destinos irão se encontrar
E o mesmo Padre Eterno que nunca foi lá
Olhando aquele inferno, vai abençoar
O que não tem governo nem nunca terá
O que não tem vergonha nem nunca terá
O que não tem juízo

Ah che sarà che sarà
che vanno sospirando nelle alcove
che vanno sussurrando in versi e strofe
che vanno combinando in fondo al buio
che gira nelle teste e nelle parole
che accende candele nelle processioni
che va parlando forte nei portoni
e grida nei mercati che con certezza
sta nella natura nella bellezza
quel che non ha ragione né mai ce l'avrà
quel che non ha rimedio né mai ce l'avrà
quel che non ha misura

Ah che sarà che sarà
che vive nell'idea di questi amanti
che cantano i poeti più deliranti
che giurano i profeti ubriacati
che sta sul cammino dei mutilati
e nella fantasia degli infelici
che sta nel dai e dai delle meretrici
nel piano derelitto dei banditi
ah che sarà che sarà
quel che non ha decenza ne mai ce l'avrà
quel che non ha censura ne mai ce l'avrà
quel che non ha ragione

Ah che sarà che sarà
che tutti i loro avvisi non potranno evitare
che tutte le risate andranno a sfidare
che tutte le campane andranno a cantare
e tutti gli inni insieme a consacrare
e tutti i figli insieme a purificare
e i nostri destini a rincontrare
perfino il Padreterno da così lontano
guardando quell'inferno dovrà benedire
quel che non ha governo né mai ce l'avrà
quel che non ha vergogna ne mai ce l'avrà
quel che non ha giudizio

 
Matrimonio

[...]

Maria! Maria! Maria!

Lasciami entrare Maria!
Non posso restare in istrada!
Non Vuoi?
Tu aspetti
che con le guance infossate,
assaggiato da tutti,
insipido
io venga
a biascicar senza denti:
«sono oggi
mirabilmente onesto».

Maria,
vedi:
ho già cominciato ad incurvarmi.

Nelle vie
gli uomini bucheranno il grasso nei loro gozzi a quattro piani,
sporgeranno gli occhietti
lisi da quarant'anni di logorio,
per ammiccare l'un l'altro ghignando
che fra i miei denti
- di nuovo! -
è il panino raffermo della carezza di ieri.

Zuppo ladruncolo stretto dalle pozzanghere,
la pioggia, spruzzando singhiozzi sui marciapiedi,
lecca il cadavere delle vie tartassate dai ciottoli,
e sulle ciglia canute
- si! -
sulle ciglia dei ghiaccioli
gocciolano lacrime dagli occhi
- si! -
dagli occhi abbassati delle grondaie

Succhiò tutti i pedoni il muso della pioggia,
mentre nelle vetture luccicava una fila di pingui atleti:
scoppiavano certuni,
rimpinzati a crepapelle,
e attraverso gli spacchi stillava la sugna,
come un torbido fiume dalle vetture scolava,
insieme con un pane maciullato
la masticatura di vecchie cotolette.

Maria!
Come ficcare una dolce parola nel loro orecchio coperto di grasso?
L'uccello
va mendicando con una canzone,
canta,
affamato e squillante,
ma io sono un uomo, Maria,
semplice,
scatarrato dalla notte tisica nella sudicia mano della Presnja.

Maria vuoi un uomo simile?
Lasciami entrare Maria!
Con lo spasmo delle dita stringerò la gola metallica del campanello!

Maria!

Diventano feroci i pascoli delle strade.
Sul collo come una scalfittura le dita della calca.

Apri!

Fanno male!

Vedi? Sono confitti nei miei occhi
gli spilli di cappelli femminili!

Mi ha lasciato entrare.

Bambina!
Non ti spaurire
se sul mio collo taurino
seggono come un'umida montagna donne dal ventre sudato:
gli è che attraverso la vita io trascino
milioni di enormi casti amori
e milioni di milioni di sudici amorucci.

Non ti spaurire
se ancora una volta
nell'intemperie del tradimento
mi stringerò a migliaia di vezzose faccine.
"Adoratrici di Majakovskij!":
ma questa è davvero una dinastia
di regine salite al cuore d'un pazzo.

Maria più vicino!

Con denudata impudenza
oppure con un pavido tremore
concedimi la florida vaghezza delle tue labbra:
io e il mio cuore non siamo mai vissuti fino a maggio,
e nella mia vita passata
c'è solo il centesimo aprile.

Maria!
Il poeta canta sonetti a Tiana,
mentre io,
tutto di carne,
uomo tutto,
chiedo semplicemente il tuo corpo,
come i cristiani chiedono:
"Dacci oggi
il nostro pane quotidiano".

Maria, concediti!

Maria!
Io temo di scordare il nome tuo
come un poeta teme di scordare
qualche
parola nata fra i tormenti delle notti,
uguale per grandezza a Dio.
Il tuo corpo
io saprò custodire ed amare
come un soldato,
stroncato dalla guerra,
inutile,
ormai di nessuno,
custodisce la sua unica gamba.

Maria,
Non vuoi?
Non Vuoi?

Ah!

Ed allora di nuovo,
afflitto e cupo,
io prenderò il mio cuore
e, irrorandolo di lacrime,
lo porterò
come un cane
porta
nella sua cuccia
la zampa stritolata dal treno.

Con il sangue del cuore allieterò la strada,
fiori di sangue si incolleranno alla polvere della mia giubba.
Mille volte danzerà come Erodiade
il sole attorno alla terra
cranio del Battista.

E quando avrà finito di danzare
il mio numero di anni,
d'un milione di gocce di sangue si coprirà la traccia
che mena alla casa di mio padre.

Uscirò fuori,
sudicio (per le notti trascorse nei fossati), mi metterò al suo fianco,
mi chinerò
per dirgli in un orecchio:
Ascoltate, signor Dio!

Non vi dà noia
inzuppare ogni giorno
nella composta di nuvole gli occhi ingrassati?

Su via, vediamo insieme
di fare un carosello
sull'albero della conoscenza del Bene e del Male!
Onnipresente, tu sarai in ogni armadio,
e a tavola porremo vini tali
che anche all'accigliato Pietro Apostolo
verrà voglia di ballare un ki-ka-pù.
E in paradiso di nuovo ospiteremo le Evucce:
basta che tu dia un ordine
e questa notte stessa
ti porterò in gran frotta
da tutti i viali le ragazze più belle.
Vuoi?

Non vuoi?
Scrolli la testa capelluta?
Aggrondi le ciglia canute?
Tu pensi
che quello con le ali
che ti sta dietro
sappia cosa sia l'amore?

Anch'io sono un angelo; io lo ero,
guardavo negli occhi come un'agnello di zucchero,
mo non voglio più offrire alle giumente
vasi plasmati nella farina di Sèvres.

Onnipresente che hai inventato un paio di braccia
E hai fatto sì che ciascuno
Avesse una sua testa,
perché non hai inventato una maniera
di baciare, baciare e ribaciare
senza tormenti?!

Pensavo che tu fossi un gran Dio onnipotente,
e invece sei un insipiente, un minuscolo deuccio.
Vedi, io mi curvo,
di dietro il gambale
traggo il trincetto.

Alati furfanti!
Rannicchiatevi in paradiso!
Rabbuffate le vostre piumette in uno sbigottito brivido!
Te, impregnato d'incenso, io squarcerò
di qui sino all'Alaska!

Non mi fermerete.
Sia che mentisca
o mi trovi nel giusto,
non potrei essere più calmo.

Guardate:
hanno di nuovo decapitato le stelle,
insanguinando il cielo come un mattatoio!
Ehi, voi!
Cielo!
Toglietevi il cappello!
Me nevado!

[...]

Vladimir Majakovskij
Vladimir Majakovskij

 

Carmelo Bene
Carmelo Bene
 
 

La poesia in ottava rima toscana è radicata dentro lo spirito culturale contadino o almeno lo era. Probabilmente si può ipotizzare che sia nata come forma d'arte parallela a quella colta e in quanto tale, tesa a sviluppare motivi di contrapposizione al potere. In questo contrasto tra il contadino e il fiorentino è evidente la diversa classe sociale che divide i due contendenti: il contadino è l'uomo sottoculturato, emarginato, rozzo, di razza inferiore, ma dotato di grande intelligenza e ingegno; il fiorentino il cittadino per eccellenza. A cantare sarà Libero Vietti. Questo è uno dei contrasti che maggiormente mi riporta indietro negli anni; il ricordo di mio padre, i suoi amici, illustri poeti dell'ottava che tra una partita a carte, una storia, un'improvvisazione, un bicchiere di troppo, spesso si dilettavano a cantare il contadino e il fiorentino. Trovarsi la sera, stare insieme, sfogare le amarezze accumulate durante una giornata di duro lavoro, improvvisarsi poeti, cantare storie, confrontarsi, per questi uomini era un chiaro segno di rivincita culturale contro quella più raffinata padronale. E' in queste forme di vita che vengono da molto lontano che va ricercata l'origine della poesia in ottava rima.

Amelia Rosselli
Amelia Rosselli
 
Gabriele D'Annunzio
Gabriele D'Annunzio




'A vucchella  

Sì comm'a nu sciorillo
tu tiene na vucchella
nu poco pocorillo
appassuliatella.

Meh, dammillo, dammillo,
- é comm'a na rusella -
dammillo nu vasillo,
dammillo, Cannetella!

"Dammillo e pigliatillo,
nu vasillo piccerillo
comm'a chesta vucchella"

che pare na rusella
nu poco pocorillo
appassuliatella...

 

Il fuoco s'arrampica per insoliti rami
e nel verde si nascondono anche piccole
bestie, esse sono la rarità del nostro
pianeta mentre tutte le varianti di
un'età di pietra mostrano violenti
scontri e proliferazioni sagaci. Ma
io non ho nella mia mano alcuna erba
medicamentosa, non ho alcuna speranza
di potere un giorno cangiarti a vista
mentre sperimentando con il mio corpo
tu ti accingi a visitarmi, insapiente
mentre neghi ogni altra ricetta alla
tua vanagloria di saperne di più degli
alberi, e più dei fiumi che scorrono
borbottando tra le vigne.

La mia unica erba è questo fumo per
i palazzi separati dai vetri delle alte
finestre ed è fumando che io vedo meglio
di quale stoffa era stata la nostra credenza
di uno e dell'altro. L'altro con alte
penne ha rigettato l'affetto, l'effetto
di una rosea nube che costringeva a
reperire nell'altro ogni speranza di
gioia.